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La colpa delle ragazzine stuprate

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1La colpa delle ragazzine stuprate Empty La colpa delle ragazzine stuprate Mer 21 Ott 2009, 10:28

margherita

margherita

Il paese li assolve, il parroco riflette: uno choc, difendono i propri figli da Il Corriere della sera

Alle undici del mattino i tre adolescenti giocano a biliardo allo Zanzibar, un bar sul corso del paese: Marco, Simone e Stefano hanno, a guardarli, qualche anno in meno di que­gli otto che due anni e mezzo fa stuprarono una coetanea in una pineta, per tre ore; e infat­ti dicono che «li conosciamo eccome, Tevez, Buddha, an­che gli altri, sono a posto, non hanno alcun bisogno di stu­prare ragazze, non è vero nien­te, piuttosto lei, che quello stesso pomeriggio, prima del­la festa, era andata con un al­tro... ». Comincia da qui - un bar con un biliardo e tre adole­scenti lontani dalla scuola - il viaggio nel paese che difende gli aggressori e insulta la vitti­ma: sarà lungo, ore e ore a par­lare con la gente, e il risultato, alla fine, è quello. «Colpa di lei». Oppure: «Lei di certo non è una seria». O anche: «Ma se l’aveva già fatto con altri quat­tro... ». Gli aneddoti, a Montal­to di Castro, riguardano una ragazzina violentata.

Alto Lazio, giornata così cri­stallina che in lontananza si vedono qua l’Argentario e là Capalbio, una meraviglia: e an­che il paese è carino, con la sua piazza Padella, via del­l’Ospizio, le sue trattorie, il corso, il castello, poche mac­chine. Tutto illuminato dal so­le. Una meraviglia. E anche le persone sono cortesi, disponi­bili, gentili. I ragazzi - dai quindici ai venti, ventidue - si ritrovano al bar Oasi o al bar del Corso, il pomeriggio: sono lì a ridere e fare battute, fuma­re sigarette, indicare ragazze. Lì vanno anche Marco, Simo­ne e Stefano: chiamano al tele­fonino uno degli otto aggres­sori - che per due anni e mez­zo saranno «messi in prova» dal Tribunale dei minori, se la superano il reato è estinto - e spiegano che un giornalista vorrebbe parlargli. Quello, Al­berto, dice una cosa sola: «Non voglio problemi, se gli avete dato il mio numero dite­gli di cancellarlo». I problemi, questi otto ragazzi dello stu­pro in pineta su una quindi­cenne, sperano di averli supe­rati, adesso. Di certo, non solo i loro coetanei ma il paese tut­to li difende. Giovani, anziani, anche le donne. E nel difender­li - quasi inevitabilmente - ac­cusano la ragazzina. Dice Vit­torio Bricca, pensionato set­tantenne seduto in piazza alla fine del Corso: «Avessi avuto diciassette anni, mi sarei mes­so in fila e anch’io sarei anda­to con quella». Ecco, lo fanno in molti: la vittima, la chiama­no «quella». «Ma questi ragaz­zi mica sono romeni, che pic­chiano e uccidono». Stuprato­ri gentiluomini. «No davvero, avranno pure sbagliato ma mi­ca si possono rovinare la vita. Tutte queste parlamentari che parlano, accusano, ma questi ragazzi una sera j’è capitata ’sta cosa ... ». Capitata. Poi dice una frase a forma di battuta, parecchio crudele: «Non tutti i mali vengono per nuocere, adesso quella fija troverà un lavoro...». Invece, in questa storia, sono i maschietti ad aver trovato lavoro: non tutti, ma molti degli otto adesso, do­po questa storiaccia di violen­za, hanno avuto la solidarietà del paese, ricevuto offerte. Racconta Venanzia Piras, della trattoria all’ingresso del pae­se: «Mio genero ne ha preso uno a lavorare, fa il muratore, e lui gliel’ha detto, proprio l’al­tra sera, l’ha rimproverato, ma quel ragazzo ha detto che la ragazza era ubriaca e che lo­ro, sì, avevano sbagliato... Io non so come siano andate le cose, ma certo se lei si pente solo il giorno dopo...». La gior­nalaia - «non metta il mio no­me per carità, in questa storia meglio non esporsi» - è l’uni­ca che dice qualcosa di difficil­mente contestabile: «Hanno sbagliato, che paghino». Poi, certo, anche lei ribadisce che «sono ragazzi bravissimi, e bravissime sono le famiglie. Su quei giovani metto la ma­no sul fuoco, sulla ragazza non so...». Poco distante c’è un posto di blocco, il carabi­niere non è molto alto, mezza età, «un appuntato. Perché tutti difendono gli aggressori? Fatevi qualche domanda: per­ché la ragazza non ha strillato, quella notte? E perché ha par­lato dopo un mese?». Sono molte le risposte possibile, quando si ha a che fare con la psiche di una ragazzina che ha subìto violenza. «E comunque quelli sono bravi ragazzi», ag­giunge. Il maresciallo lì vicino - viso pulito, bel sorriso ­scuote la testa: «Proprio bravi ragazzi, alla luce di quello che hanno fatto, non si può dire». A metà giornata dunque, al­l’inizio del paesino, dopo aver parlato con giovani, donne, uomini e anziani, per la prima volta qualcuno pronuncia quella frase: «Bravi ragazzi, non si può dire».

Montalto di Castro ha «sei-settemila anime - raccon­ta Padre Eduardo, argentino, parroco di Santa Maria Assun­ta - e capisco che si possa ave­re quell’impressione, che tutti si preoccupino degli aggresso­ri e nessuno della vittima. Ma, innanzitutto la ragazza non vi­ve qui ma in un altro paese. E poi, secondo me, il discorso è un altro: visto che quei ragaz­zini non avevano precedenti erano considerati ragazzi nor­mali, di buona famiglia, ed ec­co che ciò che è accaduto è sta­to uno choc per tutti, ogni fa­miglia ha cominciato a pensa­re che una storia così poteva capitare a chiunque, anche al proprio figlio. Per questo tutti hanno cercato di essere vicini a questi ragazzi, hanno dato solidarietà, e lavoro». Mentre la vittima, una ragazzina che all’epoca dei fatti aveva quin­dici anni, in un paese molto vi­cino, è lì che cerca un lavoro senza trovarlo. Invece qui, i «bravi ragazzi» vanno a scuo­la, lavorano, si vedono con gli amici. Raccontano ciò che vo­gliono. Quei tre ragazzini che giocavano a biliardo, ad esem­pio, non hanno dubbi: «Lei s’è inventata tutto». E giù aned­doti, su di lei.

Alessandro Capponi

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